L'economia - Val d'Arigna

Val d'Arigna
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L'economia

Storia e cultura

L'ECONOMIA IN VAL D'ARIGNA: LE PRIME ATTIVITÀ

L'attività principale degli abitanti della Val d'Arigna era l'allevamento di bestiame, in particolare di bovini grazie all'ideale conformazione del territorio sia a valle che a monte, con grandi spazi verdi ben manutenuti in cui fu possibile costruire tanti alpeggi,. È grazie ad un documento appartenente al Comune di Ponte in Valtellina e risalente al 1614 che è possibile dare una collocazione all'inizio di questa attività, non escludendo però che forse fosse già esistente anche prima. Tale documento infatti è un regolamento suddiviso in 20 articoli atti a regolare la divisione della montagna mediante un'asta, a dettare le regole per gli affitti e ad invitare i frazionisti a non invadere il terreno altrui, causa di liti e risse tra loro. Fino al 1805 i pascoli furono affidati ai pastori mediante contratti annuali, dovendosi attenere alle divisioni territoriali della sezione di appartenenza dettata dal documento del 1614. Tali regolamenti servivano a chiarire i diritti e i doveri di ciascun affittuario oltre che regolare le  modalità di pagamento. Tra i doveri l'affittuario doveva provvedere alle migliorie al terreno, come ad esempio la concimazione e la ripulitura da sassi. Tutt'oggi sono riconoscibili le cosiddette “murache”, termine dialettale che indica l'accumulo di pietre levate dai prati per facilitare il pascolo dei bovini ed accatastate poi ai margini del proprio terreno per delimitarne i confini. Nel 1805 si è anche stabilito che la durata del contratto passasse da annuale a novennale in quanto questa formula consentiva all'allevatore una migliore programmazione del lavoro oltre che una miglior resa produttiva. Tutto ciò fu fondamentale vista l'importanza economica rappresentata dai pascoli.

Gli alpeggi destinati alla sezione di Arigna in data 1614 erano i seguenti:

  • Pioda capace di 40 vacche;

  • LaValle capace di 15 vacche;

  • Foppa capace di 35 vacche;

  • Druet capace di 20 vacche;

  • Pesciola capace di 35 vacche;

  • Campelli capace di 20 vacche.


Durante la metà del Novecento furono costruiti anche altri due alpeggi:

  • Quai capace di 20 vacche;

  • S. Stefano capace di 20 vacche.


Nel corso degli anni, la crescita economica, dovuta allo sviluppo del settore terziario, ha a poco a poco accelerato l'abbandono dell'agricoltura e dell'allevamento a favore dell'industria, facendo cadere in disuso molti di questi alpeggi. Oggi, anno 2010, i soli alpeggi di Campelli (ristrutturato pochi anni fa), e quello di S. Stefano sono utilizzati e, solamente quest'ultimo, da un residente della Val d'Arigna.
  
Un'altra attività praticata in Val d'Arigna che pare addirittura antecedente all'allevamento di bovini era l'estrazione del ferro. Come in molte valli orobiche della Valtellina, la presenza di vene ferrose fu appunto sfruttata dall'alto Medioevo fino al termine dell'Ottocento. Dalla fine del Trecento si ha infatti documentazione scritta dell'estrazione del ferro in val d'Arigna. In questo periodo la famiglia Quadrio, proprietaria anche di due castelli all'imbocco della valle, beneficiava del diritto di estrazione in seguito appartenuto anche ai Besta. Si suppone che l'attività estrattiva valtellinese sia in stretta relazione con quella svolta, pare già in epoca protostorica, dagli abitanti del vicino territorio bergamasco della Val Brembana, che successivamente si estese per diversi motivi al territorio valtellinese. Il toponimo "Forni" indica la località, dove si trova il bacino idrico artificiale omonimo dell'alta Val d'Arigna, nella quale il minerale - siderite - veniva ricavato attraverso un processo di fusione che doveva avvenire nelle vicinanze dei giacimenti, ma soprattutto nelle vicinanze di legno, da trasformare in carbone, necessario per il funzionamento dei forni e acqua, che serviva ad alimentare la tromba a energia eolica che serviva ad ossigenare e a ravvivare il fuoco durante la fusione del minerale. Il materiale veniva di seguito trasportato a valle per il successivo processo di lavorazione in fucina, probabilmente a Boffetto o a Castello dell'Acqua, anche se quest'ultima destinazione appare meno probabile dato l'antico campanilismo con Arigna.
La cessazione dello sfruttamento delle miniere avvenne a seguito dell'industrializzazione e dell'esaurimento dei boschi, circostanza che aveva tra l'altro causato gravi dissesti del terreno con danneggiamenti anche a carico delle stesse attività estrattive.

Articolo presente nel libro "Alpi Orobie Valtellinesi - montagne da conoscere"

NOTE BIBLIOGRAFICHE
Mara Sutti, Quaderni Valtellinesi, Il sistema ambientale di un borgo alpino:Il caso di Ponte in Valtellina.


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