Chiesa di San Matteo - Val d'Arigna

Val d'Arigna
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Chiesa di San Matteo

Storia e cultura

Testo di Gianmario Bonfadini

“In un villaggio della Valle d’Arigna, distante cinque miglia dalla parrocchiale, vi è la chiesa di San Matteo Apostolo con il cimitero: vi è il battistero, vi è mantenuto un cappellano proprio e conta circa cinquantacinque famiglie tutte cattoliche”.

Cosi è citata l’antica chiesa di San Matteo negli atti della visita pastorale diocesana del Vescovo di Como Feliciano Ninguarda avvenuta nel 1589. Il villaggio viene identificato nella tradizione orale della valle con il toponimo di Arigna Vecchia, ad indicare il nucleo di più antica edificazione, essendo l’antropizzazione presumibilmente sviluppatasi da sud verso nord, grazie alla colonizzazione avvenuta attraverso i passi transorobici.
Nell’antichità e fino agli inizi dell’800 le comunicazioni e i commerci di qualsiasi tipo risultavano assai più agevoli attraverso i valichi rispetto all’impervio fondovalle. Quasi ogni valle laterale del versante orobico della Valtellina rappresentava perciò una via di comunicazione con le valli bergamasche.
Proprio da San Matteo, in un giorno dell’anno 1533, partì alla volta del Veneto il giovane Giandomenico Scamozzi, padre di Vincenzo, uno dei maggiori architetti rinascimentali, all’epoca secondo solo al Palladio e come quest’ultimo esercitò grande influenza sull’architettura anglosassone.
La chiesa di San Matteo, eretta ab immemorabili e dotata nel corso del XVI secolo di fonte battesimale e cimitero, venne descritta in via di deperimento già sul finire dell’800 in seguito al decadimento da chiesa parrocchiale avvenuto nel 1886 a beneficio dall’oratorio dei SS. Carlo e Ignazio di Loyola edificato nella contrada di Fontaniva nel 1623 a ampliato nel 1867.
Il caratteristico campanile a cuspide piramidale culminante con una croce in ferro spicca sui resti dell’edificio a croce latina con annessa sacrestia. La facciata a capanna presentava una finestra rettangolare sopra il portale lapideo il cui architrave recava la scritta 1651 B.M.F.F. (Benefattori Matteo Fecero Fare).
Nel corso degli anni si è assistito al progressivo e inesorabile decadimento, quello che John Ruskin, grande studioso di architettura medioevale e teorico del restauro, chiamava “lasciar morire naturalmente il monumento”; “...la caducità, le lacerazioni e la vegetazione rendono l’architettura simile all’opera della natura”.
Cosi l’abbandono e i danni provocati dalla natura e dall’uomo hanno causato il crollo quasi totale della chiesa. Restano – ma forse proprio in questo momento stanno crollando – alcuni muri perimetrali e una volta a crociera, oltre al campanile. Alcune macerie sul pavimento della zona absidale ricordano l’affresco rappresentante il trionfo di San Matteo, ora sostituito, in alcune tiepide serate estive, dal giallo appena arancione della luce sulle poche nuvole basse.

Articolo presente nel libro "Alpi Orobie Valtellinesi - montagne da conoscere"

Articolo presente nel libro "Voci dalla fontana"


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